LA RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA: ATTUALITÀ INTERNAZIONALE E SCENARI FUTURI, POLITICA ITALIANA E STUDI STRATEGICI.
UN APPUNTAMENTO MENSILE PER AFFRONTARE CON CONSAPEVOLEZZA STORICA E CRITICA UNA REALTÀ INTERNAZIONALE IN CONTINUO CAMBIAMENTO.Il numero indaga la crisi d’identità interna agli Stati Uniti. I litigi su armi e aborto, l’aumento della violenza, la crescente intolleranza che blocca la politica sono sintomi superficiali di un malessere più profondo. Negli ultimi decenni, la società si è frammentata al punto che gli americani sentono minacciato il proprio stile di vita non dagli sconvolgimenti internazionali, non da potenze straniere, bensì da altri connazionali.L’America non è più sicura di essere America. Questione semplicemente cruciale per il resto del mondo, in particolare per i paesi europei che partecipano del sistema guidato da Washington. E già foriera di conseguenze, come dimostra l’aggressione russa all’Ucraina, impossibile se la prima potenza del globo non fosse stata percepita debole.La prima parte, «Nell’occhio del ciclone», descrive le forme e risale alle cause della crisi d’identità. La tempesta viene esaminata da vicino in molti degli Stati chiave, dal Texas alla California, dalla Georgia alla Pennsylvania. Con un occhio ai separatismi interni, come segnala il progetto Greater Idaho. Pur non parlando di necessario declino, viene inoltre affrontato l’inevitabile impatto della discordia sull’impero esterno degli Stati Uniti.La seconda parte, «Duelli per l’anima dell’America», illustra le battaglie sulle questioni identitarie. La storia, sempre più campo di battaglia per imporre idee opposte dell’America. La crisi delle università, descritta come una minaccia per la sicurezza nazionale. La decisiva sfida per l’integrazione degli ispanici. La proliferazione di versioni alternative e inconciliabili della verità («complotti»). La persistenza dell’eccezionalismo nella politica estera di un’élite sempre più inaccessibile al resto della popolazione. Con i possibili scenari della violenza politica e di una nuova secessione.La terza parte, «Sguardi eurasiatici», offre un aggiornamento sulla guerra d’Ucraina dalla prospettiva della Russia, un punto di vista dalla Germania sull’Europa nel caos e una proposta per aggiornare i rapporti Italia-Stati Uniti alle crisi attuali.
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UN APPUNTAMENTO MENSILE PER AFFRONTARE CON CONSAPEVOLEZZA STORICA E CRITICA UNA REALTÀ INTERNAZIONALE IN CONTINUO CAMBIAMENTO.Il Gran Turco si propone di fotografare il momento della Turchia, potenza in grado di influenzare in modo sempre più decisivo gli equilibri geopolitici nel suo intero intorno strategico. Dal Mar Nero alle Afriche, dai Balcani alle Asie profonde. Ascesa di cui Recep Tayyip Erdogan, troppo spesso associato in modo sineddotico al suo paese, è simbolo e volto. Ma non causa.La prima parte – significativamente intitolata “Essere turco” – indaga i fattori della potenza anatolica. Ampio spazio è dedicato naturalmente al fattore umano, tratto distintivo di quello che Erdogan ha battezzato “secolo della Turchia”. Il bilancio è piuttosto netto: malgrado la polarizzazione elettorale, la patria non è divisa. I turchi sono molto più uniti di quanto riveli il risultato delle recenti elezioni presidenziali.La seconda parte – “Altri turchi e resto del mondo” – analizza la percezione dell’ascesa della Turchia da parte di Stati Uniti e Cina e si addentra nelle questioni geopolitiche oggi più pressanti per Ankara: dal confronto con la Grecia al tentativo di guidare l’ecumene turca.La terza parte – “Il Gran Turco alla porta” – riflette la potenza turca nello specchio italiano, dando conto della penetrazione della Turchia nei quadranti decisivi per il nostro paese: Nord Africa e Balcani.
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UN APPUNTAMENTO MENSILE PER AFFRONTARE CON CONSAPEVOLEZZA STORICA E CRITICA UNA REALTÀ INTERNAZIONALE IN CONTINUO CAMBIAMENTO.Il bluff globale, quarto volume di Limes del 2023, muove dall’idea che la “globalizzazione” non sia fenomeno solo commerciale. Pertanto, la sua trasformazione – dall’esito ancora aperto – non è un fatto solo economico. La (seconda) globalizzazione è infatti figlia di tre eventi squisitamente storico-geopolitici: l’esito delle due guerre mondiali, la scelta statunitense di aprire alla Cina nel 1972 in chiave antisovietica e lo sbocco della guerra fredda.Il primo evento mette fine al primato europeo, consentendo la definitiva ascesa degli Stati Uniti a grande potenza. Il secondo pone le premesse del binomio Usa-Cina su cui si è retta, finora, quella dinamica aggregante che siamo soliti chiamare globalizzazione. Il terzo eleva a canone il modello materiale e culturale statunitense (Washington Consensus), facendone il paradigma del rise of the rest che Washington tenta d’inquadrare in un ordine mondiale incentrato sull’America.A sancire la fine della luna di miele con gli Stati Uniti è la disillusione verso il canone, appannato da errori strategici (guerra al terrorismo) e mali sistemici (recessione del 2008, violenza sociopolitica e altre manifestazioni della “tempesta americana”). Ma anche la sopraggiunta divergenza tra convenienze economiche e traiettorie geopolitiche, soprattutto di Usa e Cina. Da cui l’alterazione del rapporto tra costi (sostenuti) e benefici (percepiti) di un primato che gli Stati Uniti sembrano sempre meno capaci e desiderosi di sostenere, ma cui non vogliono (ancora?) rinunciare.L’interdipendenza, essenza della modernità post-guerra fredda, si volge così da viatico di cooperazione a fonte di tensione tra il Numero Uno e i suoi sfidanti, specie dov’è più difficile da scalfire. Con inevitabili ripercussioni sugli alleati – europei e non – di Washington, orfani di un ordine americanocentrico cogente ma, tutto sommato, comodo e rassicurante.
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UN APPUNTAMENTO MENSILE PER AFFRONTARE CON CONSAPEVOLEZZA STORICA E CRITICA UNA REALTÀ INTERNAZIONALE IN CONTINUO CAMBIAMENTO.Dal 24 febbraio 2022 il mondo ha cominciato a correre a una velocità paragonabile a quella che in genere prelude alle grandi guerre. Sembra avverarsi la profezia di papa Francesco sulla “terza guerra mondiale a pezzi”. Dal sanguinoso conflitto in Ucraina – scontro non troppo indiretto fra Stati Uniti e Russia – alla tensione crescente fra Washington e Pechino centrata su Taiwan, fino alla guerra fra Israele e Hamas che minaccia di incendiare l’intero Medio Oriente.Questo volume analizza in dettaglio la nuova guerra scoppiata tra Israele e Hamas a seguito dell’efferato attacco allo Stato ebraico del 7 ottobre, cui è seguita la devastante risposta a oggi in corso.Nell’ampia prima parte si dà conto dei molteplici attori più direttamente coinvolti: in primo luogo lo Stato ebraico e Hamas, ma anche il libanese Hizbullah e le formazioni della galassia jihadista che insistono sullo spazio israelo-palestinese, oltre che sui paesi adiacenti. In questa cornice si inseriscono alcuni articoli specificamente dedicati a Gaza e agli altri territori palestinesi, radiografia del contesto politico, umano e territoriale i cui annosi problemi minacciano di uscire ulteriormente acuiti dal nuovo scontro.La seconda parte allarga lo sguardo ai soggetti regionali che condividono a vario titolo ruoli, interessi e agende nell’incendiaria situazione mediorientale. In primo luogo Iran, Arabia Saudita, Egitto e Turchia, le cui strategie, i cui timori e le cui reazioni contribuiscono a determinare direzione e intensità del conflitto.Nella terza parte l’ottica si allarga ulteriormente alle potenze – Usa, Russia, Cina – protagoniste della Guerra Grande, frutto dell’erosione dell’egemonia statunitense. Processo in corso da tempo che negli ultimi due-tre anni sembra aver subito un’accelerazione e in cui il nuovo scontro israelo-palestinese, al netto delle irriducibili sue specificità, può essere inscritto.
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UN APPUNTAMENTO MENSILE PER AFFRONTARE CON CONSAPEVOLEZZA STORICA E CRITICA UNA REALTÀ INTERNAZIONALE IN CONTINUO CAMBIAMENTO.Il secondo numero di Limes del 2023 è dedicato alla Polonia, paese che sta svolgendo un ruolo chiave nella guerra scatenata dalla Russia e che da tale ruolo si appresta verosimilmente a trarre tangibili, duraturi benefici.Il conflitto in Ucraina eleva infatti lo status geopolitico di Varsavia, accentuando lo spostamento verso nord-est del baricentro strategico europeo. Complici lo smarrimento tedesco, l’affanno degli altri paesi tradizionalmente filorussi (Italia inclusa) e il futuro allargamento della Nato a Svezia e Finlandia.La funzione diligente, efficiente e determinata di retroterra logistico e campione politico della resistenza ucraina alla Russia svolta fin dall’inizio delle ostilità accresce agli occhi degli Stati Uniti utilità e affidabilità della “potenza dell’Est”. Ruolo in parte svolto fin dal 2014-15 (presa della Crimea) e più in generale dalla stagione delle “rivoluzioni colorate”.La Polonia non fa mistero di voler uscire dal conflitto confermata nel ruolo di principale bastione baltico della Nato contro un ritrovato nemico russo (che per i polacchi non ha mai smesso di essere tale), forte dell’attuale riarmo e dell’auspicata installazione di basi americane permanenti sul suo territorio.L’inclusione “di fatto” dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica concorre a delineare come possibile questo esito, fornendo profondità strategica all’infrastrutturazione e al consolidamento del Trimarium, il progetto regionale imperniato sulla centralità polacca nel triangolo Mar Baltico-Mar Nero-Mare Adriatico.Cosa comporta questo per il futuro dello Stato polacco? Quali le conseguenze per gli equilibri dell’Unione Europea? In che modo il recupero di una centralità strategica, a oltre due secoli dalla fine della Confederazione polacco-lituana – culmine della dimensione imperiale polacca – e dopo le dolorose spartizioni che ne sono seguite, cambia la geopolitica regionale e i rapporti con gli Stati Uniti, potenza di riferimento? Quali, non da ultimo, l’impatto sui futuri rapporti con Mosca?
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UN APPUNTAMENTO MENSILE PER AFFRONTARE CON CONSAPEVOLEZZA STORICA E CRITICA UNA REALTÀ INTERNAZIONALE IN CONTINUO CAMBIAMENTO.La Guerra Grande che si combatte in Ucraina, pensata “lampo” dal suo improvvido demiurgo e rivelatasi invece un sanguinoso e crudele pantano, è nel suo 14° mese. Entra anche in una delle sue fasi più calde: se in vista di un eventuale negoziato o meno, saranno i prossimi, cruenti sviluppi a dircelo. Tempo di bilanci, dunque: inevitabilmente provvisori, ma necessari dato l’impatto sempre più profondo e sistemico che il conflitto va producendo sul panorama geopolitico mondiale, oltre che sulla martoriata Ucraina.“Lezioni ucraine” è, appunto, il titolo del quinto volume di Limes del 2023: dettagliata radiografia del fronte russo-ucraino e delle dinamiche militari, economiche, strategiche e politiche che gli ruotano attorno. Dinamiche che toccano i belligeranti, ma anche coloro – Usa, Cina, Europa – che li sostengono. Oltre che, indirettamente, le altre aree del globo investite a vario titolo e in varia misura dai contraccolpi delle ostilità.La prima e ampia parte – Come e perché l’Ucraina resiste – descrive con ricchezza di contributi e di spunti analitici le forme della guerra di difesa ucraina, l’apporto economico e militare occidentale, le ricadute materiali del conflitto e i connessi, crescenti bisogni di ricostruzione. Sono analizzate anche le faglie interne all’Ucraina che il conflitto ha sedato, ma non cancellato e il loro possibile impatto sul futuro del paese che lotta per la sopravvivenza.Le altre due parti – Dal fronte russo e Grandi manovre nella Guerra Grande – danno rispettivamente conto dell’attuale linea di Mosca sul conflitto e sui rapporti con l’Europa, e delle “offensive d’estate” con cui i belligeranti cercano di guadagnarsi una posizione (territoriale, politica) ottimale in vista della prossima stagione fredda e di eventuali negoziati volti a sospendere le ostilità.Nella sezione extra-monografica (Limes in più), un’intervista a Henry Kissinger dal titolo: ‘Il calcio è l’incarnazione dell’esperienza umana’.
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UN APPUNTAMENTO MENSILE PER AFFRONTARE CON CONSAPEVOLEZZA STORICA E CRITICA UNA REALTÀ INTERNAZIONALE IN CONTINUO CAMBIAMENTO.“Africa contro Occidente” è l’ottavo numero di Limes del 2023. Il volume si concentra sulla regione saheliana, teatro della “catena dei colpi di Stato” – ultimi quelli in Niger e Gabon – che da anni punteggiano l’area, ma che negli ultimi tempi hanno subìto una marcata accelerazione. Agli occhi dell’Italia, la circostanza rileva per almeno tre motivi.Primo: perché la (in)stabilità del Sahel – area di congiunzione tra Nord Africa e Sahara – si riflette direttamente sui fragili equilibri della fascia maghrebino-nordafricana, dunque sui paesi direttamente affacciati al Mediterraneo e nostri prossimi dirimpettai.Secondo: perché da questi paesi – Egitto, Libia, Marocco, Algeria, Tunisia – originano o passano flussi di risorse fondamentali. A cominciare da quelle energetiche, rese ancor più vitali dalla guerra in Ucraina. Al contempo, in Nord Africa approdano – via Sahara e Sahel – i flussi migratori che puntano all’Europa attraverso il Mediterraneo, cui si aggiungono quelli autoctoni determinati dalle precarie condizioni socioeconomiche (Tunisia, Algeria, Egitto) e di sicurezza (Libia).Terzo: perché i disordini e i golpe che spazzano il Sahel, area in cui la Francia esercita una storica influenza, hanno forte connotazione antifrancese. Ciò configura un chiaro rigetto degli assetti neocoloniali finora vigenti e apre la porta, oltre che a nuove forme di soggettività delle società e dei paesi in questione, a nuove influenze esterne. Specie da parte della Russia, che in tali aree gode di ampia popolarità e non trascurabile ascendente.Siamo dunque di fronte a un momento di profonda e tumultuosa trasformazione di un’area in cui l’Italia ha interessi fondamentali e dalla cui instabilità abbiamo molto da perdere.
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UN APPUNTAMENTO MENSILE PER AFFRONTARE CON CONSAPEVOLEZZA STORICA E CRITICA UNA REALTÀ INTERNAZIONALE IN CONTINUO CAMBIAMENTO.“La Cina resta un giallo” è il nono numero di Limes del 2023 e si concentra sulle sfide che il paese guidato dal presidente Xi Jinping (giunto al terzo mandato) si trova ad affrontare in patria e all’estero. Da quando negli anni Settanta Deng Xiaoping ha lanciato la politica di riforma e apertura, la Repubblica Popolare ha compiuto straordinari progressi sul piano economico, tecnologico e militare. Eppure il cosiddetto “risorgimento”, cioè la trasformazione della Cina in superpotenza in grado di competere con gli Stati Uniti, è ancora messo a repentaglio da diversi fattori.La prima parte, titolata “incubi e sogni di Pechino”, si concentra sugli argomenti domestici in cima all’agenda di Xi: il rallentamento dell’economia e le possibili riforme per porvi rimedio; il declino demografico; lo stress sociale e il disagio dei giovani; lo sviluppo dei microchip cinesi; il rapporto tra centro e periferia del paese; la trasformazione della Repubblica Popolare in potenza navale.La seconda sezione analizza le mosse degli Stati Uniti e dei loro soci (Giappone e Australia in primis) per contrastare Cina e Federazione Russa. Con particolare attenzione al dibattito americano su quale sia la strategia migliore per affrontare la “strana coppia” composta da Pechino e Mosca, ai recenti sviluppi delle contese nel Mar Cinese Meridionale e ai piani di Tokyo in caso di guerra per Taiwan.La terza parte è dedicata proprio al ruolo che l’isola un tempo conosciuta come Formosa ha negli equilibri dell’Indo-Pacifico, al complesso processo di formazione dell’identità taiwanese e alla strategia che Taipei intende adottare per contrastare Pechino. Quest’ultima considera l’unificazione con Taiwan cruciale non solo per superare psicologicamente le invasioni subite per mano di europei, russi e giapponesi tra il XIX e il XX secolo. Ma anche per dominare i Mari Cinesi, neutralizzare il contenimento attuato dagli Stati Uniti lungo la “prima catena di isole” e penetrare indisturbata nell’Oceano Pacifico. Insomma, da queste acque passa il futuro della Repubblica Popolare.